La Monuments Men Foundation nacque nel 1943 con il compito di proteggere i tesori culturali, per quanto la guerra lo rendesse possibile, e si poneva come obiettivo quello di onorare l’eredità degli uomini e delle donne che avevano servito nella sezione Monumenti, Belle Arti e Archivi (Monuments, Fine Arts, and Archives o, in breve, MFAA). Noti anche con il nome di "Monuments Men", furono un gruppo di 345 uomini e donne provenienti da 13 nazioni diverse; molti avevano esperienza come direttori di musei, curatori, storici dell’arte, artisti, architetti e insegnanti.
Com’è noto, le armate tedesche, mentre invadevano un Paese dopo l’altro, razziavano in modo sistematico dipinti, sculture e altri capolavori. Al fine di impedire questo furto senza precedenti, a fine 1943 americani ed inglesi, con l’approvazione del Presidente Roosevelt, si accordarono per la costituzione della Mfaa. Quasi una sorta di simbolica rifusione per l’assurdo bombardamento alleato dell’agosto 1943 che rischiò di mandare il frantumi il Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Nella primavera successiva (1944) i membri della nuova unità si riunirono in Gran Bretagna, a Shrivenham, per l’addestramento in vista dell’operazione di salvataggio. Dopo essere sbarcati in Normandia insieme con le altre truppe a inizio giugno, i Monuments Men raggiunsero chiese, castelli, conventi, apponendovi il famoso cartello, rivolto ai colleghi impegnati nelle operazioni militari: “Off limits. A tutto il personale militare: Edificio storico!”. Indi compulsarono parroci, autorità civili, direttori e funzionari di musei per avere notizie sulla sorte di singole opere di pregio e di intere collezioni, scomparse in concomitanza con l’arrivo degli eserciti hitleriani, prima, e con la ritirata di questi ultimi, poi. Ricordiamoci quanto aveva affermato, nel 1942, il Maresciallo del Reich Hermann Göring, il principale razziatore nazista dopo Adolf Hitler: “Una volta lo si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale”
FRANCIA A Parigi trovarono due alleati nel direttore del Louvre, Jacques Jaujard, e nella collaboratrice volontaria dello Jeu de Paume, Museo legato al Louvre, Rose Valland -un’eroina suo malgrado, stupidamente accusata, dopo la liberazione della città dai tedeschi, di collaborazionismo con gl’invasori-, la quale sapeva bene, tra l’altro, dove i nazisti avevano occultato le opere rubate alle grandi famiglie ebraiche francesi. Una parte notevole di tali capolavori (insieme ad un’infinità di oggetti da collezione) era stata ammassata in Baviera, nel castello in stile medievale di Neuschwanstein, una costruzione innalzata meno di cent’anni prima, frutto del “pazzo” sogno del Re Ludwig II, amante della musica e delle arti, protettore dell’ingrato Richard Wagner.
Il luogo era talmente pieno di opere d’arte che i Monuments Men impiegarono ben sei settimane per svuotarlo: poiché ovviamente era privo di ascensori, tutto dovette essere trasportato a piedi lungo le scale (da una visita effettuata circa un decennio fa, le ricordo interminabili…).
GERMANIA C’era non solo da recuperare le opere d’arte rubate ai proprietari privati, ma pure da salvaguardare il patrimonio che i nazisti avevano sottratto al popolo tedesco. Nei piani di Hitler ciò che, in modo o nell’altro, era stato requisito avrebbe dovuto costituire, terminata la guerra con la vittoria del Terzo Reich, il nerbo del cosiddetto Führermuseum, da innalzarsi a Linz, città austriaca da lui amata.
E’ noto che, poche settimane prima di suicidarsi, il dittatore era solito estraniarsi dalla dura realtà della disfatta militare e dell’imminente caduta rifugiandosi in un mondo fantastico, incarnato dal modellino in scala di Linz ricostruita e del suddetto Museum. Ad Aachen poi era scomparso il tesoro di Carlo Magno, ritrovato in seguito a Siegen, la patria di Pieter Paul Rubens, in Renania Settentrionale Westfalia.
Fu poi il caso a condurre i nostri valorosi a Merkers, in Turingia, dove rinvennero nientemeno che l’intera riserva aurea della Germania nazista, ma pure una notevole numero di opere.
Nella vicina Bernterode essi si trovarono di fronte alle bare dei Re di Prussia tra cui quella di Federico II il Grande (del quale Adolf Hitler si riteneva il continuatore); e nella miniera di Heilbronn, nel Baden Württemberg, ecco i tesori del Museo di Karlsruhe.
Ma il clou di tutta la vicenda fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee, in Stiria, alle spalle di Salisburgo e Linz. I nazisti vi avevano raccolto ben 6500 quadri, statue, libri, monumenti.
Quando le casse furono aperte, i Monuments Men (siamo nel maggio 1945) quasi non credevano ai loro occhi: finalmente erano arrivati alla Madonna con Bambino, scolpita da Michelangelo nel 1503/1504 su incarico di un gruppo di ricchi mercanti locali, sottratta alla Chiesa di Nostra Signora di Bruges (la Vrouwekerk); all’Astronomo di Jan Veermeer (1668), proveniente dal Louvre; al Polittico dell’Agnello Mistico, un olio su tavola, dipinto da Jan van Eick nel 1432 (cattedrale di Sint Baafs di Gand). Ma la sorpresa non era finita. Poco dopo, davanti alla miniera, abbandonate su un prato, c’erano otto casse con una scritta in tedesco: “Attenzione, marmi, maneggiare con cura”. Ma, apertele, si accorsero che, anziché “marmi”, le casse contenevano otto grandi bombe inesplose.
Tutto fu subito chiaro. In caso di disfatta, l’ordine di Hitler era di far saltare in aria i capolavori: la trucemente famosa “Operazione Nerone”.
Nel caso del tesoro di Altaussee il responsabile era il Gauleiter della zona: August Eigruber. Ma l’ordine da eseguire, che egli aveva ricevuto da Berlino, non venne attuato: furono il nervosismo di quei momenti, o la rapidità dell’arrivo dei “salvatori” o, più semplicemente, il caso -difficile stabilirlo-, a impedire che le cariche fossero innescate.
Quelle opere, insieme a tutte le altre ritrovate, vennero portate alla centrale istituita dagli Alleati a Monaco e da qui iniziò una difficile opera di individuazione dei proprietari -tanti di loro erano stati uccisi nei campi di sterminio- e di restituzione. Una lunga storia che continua ancora oggi, se pensiamo, ad esempio, che la sola Francia conserva nei propri musei ben duemila opere i cui proprietari restano tuttora ignoti.
Sulla vicenda dei Monuments Men è stato girato un famoso film nel 2013.
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