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DURANTE

Vivere e morire ad artem

TEREZIN

A rendere noto il campo d Terezin, nei pressi di Praga fu il programma di abbellimento del giugno ‘44. I nazisti dovevano prepararlo alla visita di due delegati svizzeri della Croce Rossa Internazionale e due rappresentanti del governo Danese. Già nel ‘42 si cominciava a parlare degli orrori dei campi di concentramento, e in particolare il governo danese premeva per conoscere le condizioni dei quasi 500 ebrei danesi deportati a Terezín nell’ottobre del 1943. Nella primavera del 1944 i nazisti cominciarono ampi miglioramenti del ghetto in preparazione della visita della Croce Rossa: furono aperti dei negozi, perfino un caffè, costruiti un parco giochi per bambini, un auditorium per la musica, piantati alberi e fiori. Inoltre per eliminare l’impressione di sovrappopolazione del campo e nascondere gli effetti della malnutrizione, 7.500 ebrei giudicati “impresentabili” vennero deportati ad Auschwitz. Gli altri furono istruiti per recitare una grande messinscena. La visita ebbe luogo il 23 giugno e durò dalle dieci del mattino alle sei di sera.Ai visitatori fu concesso di guardare ovunque, fu loro offerta anche la visione di uno spettacolo: l’opera Brundibàr scritta dal deportato Hans Krása ed eseguita dai bambini del campo. Il delegato della Croce Rossa, Rossel fece molte fotografie e nel suo rapporto scrisse con meraviglia di essersi trovato in un luogo accogliente e di aver visto una “normale città di provincia”. La commedia inscenata davanti a Rossel fu un tale successo che la propaganda nazista decise di ripeterla per farne un film, che venne diretto dal regista presente nel campo Kurt Gerron. Il film che diresse, in cambio della promessa di aver salva la vita, venne intitolato “Il Führer regala una citta agli ebrei” e fu proiettato in tutti i cinema tedeschi. Dopo le riprese, l’intero cast e lo stesso regista vennero deportati ad Auschwitz. 

DURANTE: Lavori
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MI chiamo Friedl. Nel 1942 fui deportata a Terezin. Lì, mi proposi come insegnante d'arte per numerosi bambini e ragazzi. Con mio marito riprogettai le stanze sovraffollate del campo organizzando anche mostre, esibizioni e spettacoli teatrali per due anni. Nel 1944, mio marito Pavel venne deportato ad Aushwitz. Il mese seguente, decisi volontariamente di essere trasferita dove stava lui. Morii insieme a molti miei alunni il 9  ottobre 1944 a Birkenau, dentro una camera a gas. Oggi, parte dei miei dipinti sono conservati a Praga e ad Israele, dove sono ricordata dai miei studenti come una donna forte che è stata in grado di salvarli.

Friedl Dicker Brandeis. maestra d'arte

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Arrivai a Terezin nel 1942.   
Lì, scrissi il Der Kaiser von Atlantis, l’imperatore di Atlantide, una allegoria del terrore nazista. La musica e il libretto dell’opera furono censurati dai nazisti, che ne vietarono l’esecuzione. Riuscii però ad affidare a un mio compagno il manoscritto, che fu ritrovato solo nel 1972 a Londra. In seguito fui trasferito ad Auschwitz, dove morii il giorno dopo. In nessun modo ci siamo seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia a piangere; il nostro rispetto per l’Arte era commisurato alla voglia di vivere. Ed io sono convinto che tutti coloro, nella vita come nell’arte, che lottano per imporre un ordine al Caos, saranno d’accordo con me.

Viktor Ullmann, compositore

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Provengo da una famiglia di musicisti molto nota a Praga. Fin da bambina mi dedicai al pianoforte e da adolescente mi esibii in tutta Praga. Nel 1943 finimmo tutti a Terezin, il campo degli artisti. Mi dovetti esibire per i nazisti, ma suonai almeno 150 volte anche per gli internati, per aiutare le loro anime tormentate. Grazie alla mia forza d’animo e al mio talento, salvai la vita a me stessa e a mio figlio.  Con un concerto dato nel 1945 alla radio di Praga, finalmente libera, feci sapere alla mia famiglia, in Palestina, che ero viva. Vissi fino a 110 anni.

Alice Herz Sommer, pianista

DURANTE: Testimonianze

La musica nei campi

AUSCHWITZ

In qualsiasi campo si è sempre fatta musica di diverso genere, dove non c’erano gli strumenti l’unica ancora era il canto. La presenza di strumenti, invece, si è accertata in 21 campi. Tra i più importanti ci sono Auschwitz I, Auschwitz-Birkenau, Dachau, Mauthausen, Buchenwald e Terezin.
La funzione della musica nei campi era quella di scortare i lavoratori a ritmo di marcia, rallegrare l’intervallo della domenica pomeriggio e festeggiare il compleanno dei comandanti del campo. Inoltre gli ufficiali delle SS, nel campo di Buchenwald, costringevano i prigionieri a suonare per coprire il rumore delle fucilazioni di massa.
Nel campo di Birkenau un’orchestra accoglieva i convogli destinati alla gasazione, suonando musica nazionale di chi arrivava (strategia per nascondere quanto sarebbe successo). Dopo i militari andavano nelle sale prove per rilassarsi.
Veniva fatta musica anche in modo clandestino. La musica nei campi di concentramento rappresentava un miracolo nella tragedia. Si cantava per resistere e per mantenere la dignità.
Per i deportati, la musica ha rappresentato una vera e propria ancora di salvezza poiché gli orchestrali, in alcuni casi, evitavano di essere giustiziati perché utili al campo o perché impietosivano gli ufficiali con il loro canto. In questi casi la musica, prima che esperienza spirituale, rientra nella lotta per la sopravvivenza.
Per altri, invece, ha rappresentato un’ancora di salvezza per sopravvivere moralmente e psicologicamente alle violenze che i nazisti continuavano a imporgli. Se per le SS la musica era solo uno strumento di repressione, per gli ebrei era l’unico modo di vivere gli unici giorni con dignità.
Per molti fu importante che la loro musica non morisse, pertanto si preoccuparono di nascondere le proprie opere per evitare che andassero perse.
Alcune opere furono scritte su sacchi di juta, fogli di carta igienica o conservati nella memoria dei sopravvissuti. Aleksander Kulisiewicz riuscì a tenere a mente pure i brani dei suoi compagni Dopo la liberazione, ricoverato in ospedale per una tubercolosi, infatti dettò 760 pagine di canzoni e poesie all’infermiera affinché non andassero perdute.
In molti dopo la guerra si impegnarono a raccogliere la musica chiamata “concentrazionaria”, non si trattava solo di sopravvissuti ma anche storici e musicisti più contemporanei, come il pianista Francesco Lotoro: “Se questa musica non viene suonata, non viene fatta conoscere al mondo, è come se non fosse mai uscita dai lager”

DURANTE: Benvenuti
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Sono un giovane pianista italiano,
nato a Bologna nel luglio del 1913.
Le leggi razziali fasciste mi impedirono di svolgere le mie funzioni, poiché di origine ebrea. Mi trasferii a Parigi. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, tornai in Italia per rinnovare il mio visto di espatrio, ma mi viene negato. Insegno nella locale Scuola ebraica e nello stesso tempo assisto gli ebrei colpiti dalle leggi fasciste e, soprattutto, gli orfani provenienti dalla Germania e dai Balcani che sono accolti a Nonantola.
Vengo arrestato per la prima volta nei primi mesi del 1943, poi scarcerato dopo la caduta di Mussolini. Inaspettatamente, il 31 marzo del 1944, recandomi in Ospedale per pagare il ricovero di un ragazzo ebreo, sono di nuovo arrestato. Dal carcere bolognese di San Giovanni al Monte passo al campo di concentramento di Fossoli e di qui, il 16 maggio del '44, vengo trasportato ad Auschwitz-Birkenau, dove muoio per un'infezione.

Mario Finzi

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Sono nata a Parigi nel 1908 da padre ebreo e madre cattolica. 
Quando fui deportata ad Auschwitz, era il Gennaio del '44. Poiché sapevo cantare e suonare il pianoforte, entrai a far parte dell'orchestra del lager, l'unica orchestra femminile mai esistita in tutti i campi di concentramento della Germania e dei territori occupati.
L'orchestra, voluta da Hoss, maggiore delle SS, era composta da prigioniere costrette a prove estenuanti, fino a più di 17 ore al giorno per poter suonare dignitosamente e quindi essere risparmiate. Nel campo incontrai Alma Rosè, eccezionale violinista ebrea, nipote di Gustav Mahler e direttrice dell’orchestra. Avevamo un diverso modo di vivere il lager e la necessità di fare musica. Per me, suonare era un mezzo per sopravvivere e poter testimoniare. Al contrario, per Alma la musica era un fine. Costrinse tutte a prove lunghissime per poter suonare in modo impeccabile. Alma morì prima di tornare in libertà. Io e le mie compagne fummo trasferite a Bergen Belsen.
Cantai per la BBC il giorno della mia liberazione da parte delle truppe britanniche. Sotto lo pseudonimo di “Fénelon”, che assunsi dopo la guerra, divenni una nota cantante di cabaret. Morii a Parigi nel 1983.

Fania Goldstein

DURANTE: Testimonianze
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