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DOPO

Rinascere con l'Arte: Aldo Carpi

Lo stesso Primo Levi dichiarò: Se non avessi vissuto la stagione di Auschwitz, probabilmente non avrei mai scritto nulla. In quegli anni avrei riformulato le parole di Adorno: dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz". 

Anche le arti figurative hanno donato a questo genocidio un ruolo fondamentale: parlare di Shoah significa parlare di ogni situazione di violenza brutale e perversa, di intolleranza, di odio razziale.

E' il caso di Aldo Carpi, professore di pittura all'Accademia di Brera, antifascista e nipote di un ebreo convertito al cristianesimo. Nel 1944 viene arrestato dai fascisti perché “colpevole” di aver difeso una sua alunna israelita maltrattata dagli altri docenti e dai compagni.

Carpi venne portato al carcere di San Vittore, successivamente deportato a Mauthausen e, infine, a Gusen. Lì scrive uno sconvolgente diario che verrà poi pubblicato con il titolo di “Il Diario di Gusen”.

Messo a lavorare nelle cave, sarebbe sicuramente morto ma le sue grandi doti di pittore in qualche modo lo salvarono. Un aguzzino delle cave, scoperto che Carpi era un pittore, gli chiese un ritratto da mandare alla sua famiglia. Da quel momento seguirono altri ritratti di ufficiali, carcerieri e delle loro mogli e figli, prendendo come modello una fotografia. Carpi, così, realizzò questi ritratti immaginando paesaggi marini e montani, divenendo delle vere e proprie opere d’arte. Tornato a Milano dopo la guerra, riprese a dipingere.

DOPO: Lavori
DOPO: Pro Gallery

Storie di rinascita

L'Arte che salva

David Olère e il valore documentario dell'Arte

Fui internato nel marzo del 1943 ad Aushwitz e assegnato al Sonderkommando di Birkenau, l'unità di prigionieri assegnata alla rimozione dei corpi dalle camere a gas e alle operazioni di cremazione.
Vi rimasi fino al gennaio del 1945, quando i nazisti decisero di ritirarsi portando con loro tutti i prigionieri sani in una "marcia della morte" verso ovest. Riuscii finalmente a fuggire. Iniziai a disegnare nell'ultimo periodo della mia prigionia, raffigurando scene di vita quotidiana nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.
Riuscii a salvarmi poiché parlavo correttamente sei diverse lingue: polacco, russo, yiddish, francese, inglese e tedesco. La conoscenza del tedesco e la mia abilità come illustratore mi resero utile agli occhi delle SS del campo, per le quali scrissi con un'elegante calligrafia gotica e decorazioni floreali, lettere indirizzate ai familiari. 
Tornato a casa, iniziai a testimoniare fermando nelle immagini il mio ricordo.

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La notte di Elie Wiesel

Sono nato a Sighet in Romania. A casa parlavamo yiddish, ma anche tedesco, ungherese e rumeno. Nel '44 finii ad Aushwitz, poi a Buchenwald, dove sopravvissi fino alla liberazione.

Dopo la seconda guerra mondiale, iniziai a insegnare l’ebraico e lavorai come direttore d’orchestra prima di diventare un giornalista professionista.

Per dieci anni mi rifiutai di scrivere o discutere della mia esperienza: non riuscivo a trovare le parole.

Pubblicai la mia opera più famosa, La nuit, in inglese Night, tradotto poi in 30 lingue.
Vinsi il Nobel per la Pace nel 1986.

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